Intervista. «Dire no al Tav non significa dire no alle grandi opere, ma dire no a una infrastruttura non prioritaria. Sostenuta, tra l’altro, con calcoli fallaci»
Dire no al Tav significa dire molti sì. «Dalla urgente messa in sicurezza di un territorio fragilissimo alla visione, mancante, dell’Italia del futuro, come grande protagonista europea». Lo sostiene Salvatore Settis, storico dell’arte, già direttore della Scuola Normale di Pisa, autore di alcuni capisaldi sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, già enunciata dall’articolo 9 della Costituzione., come ad esempio, Italia S.p.A.: l’assalto al patrimonio culturale (Einaudi, 2002) a Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile (Einaudi, 2012).
Professor Settis, in un intervento del 2012, descrisse l’Italia come vittima e ostaggio, da decenni, di un pensiero unico, spacciato per ineluttabile. È ancora così?
Per il solo fatto che non sia cambiata è peggiorata, non vedo indizi del cambiamento di cui si parla tanto. Non dico e mai ho detto che non si debbano fare grandi opere ma bisogna controllarle una a una. E, ripeto, che l’opera cruciale e prioritaria è la messa in sicurezza del territorio, iniziativa che darebbe molto lavoro a imprese e a singoli cittadini.
È giunto il tempo di contestare «la retorica della crescita senza fine»?
È stata contraddetta da eventi cruciali del nostro tempo. L’attuale presidente degli Stati Uniti la predica, riducendo l’estensione dei parchi nazionali, e sostiene che non ci siano cambiamenti climatici; basta vedere il clima di oggi a Roma per contraddirlo. Purtroppo prosegue una logica di rapina nei confronti del territorio. Si dovrebbe ricordare una saggezza comune in molte civiltà che afferma che noi siamo i custodi e non i padroni della Terra. E lo siamo in funzione delle prossime generazioni. Quindi non dovremmo ragionare sul domani ma sull’eredità del mondo che vogliamo lasciare ai figli dei nostri figli.
Perché, alla luce di tutto ciò, pensa che la Torino-Lione sia inutile?
Da cittadino, ho letto una quantità impressionante di documenti di diverso segno. Per prima cosa, rispetto a quanto pensano in molti, si tratta di una linea rivolta alle merci e non ai passeggeri. Inoltre, i calcoli fatti all’epoca risultano, a distanza di anni, fallaci: tutto è cambiato, anche la tecnologia. Recandomi sul posto, in Val di Susa, ho, poi, potuto constatare come ci siano forze dell’esercito che insistano su zone archeologiche con scarso rispetto delle stesse. Questa vicenda è diventata uno scontro ideologico. Dire no al Tav non significa dire no a grandi opere, ma dire no a una infrastruttura non prioritaria.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, consacrato da un accordo politico bipartisan quasi quindici anni fa prevede tra le misure congiunte Stato-Regioni per la pianificazione paesaggistica prevede espressamente «il minor consumo del territorio», «la riqualificazione delle aree compromesse o degradate». Come mai questi principi non trovano applicazione?
Purtroppo nella tradizione giuridica italiana è capitato di scrivere leggi molto belle ma anche di aggirarle. Il codice fu promosso da Urbani, poi migliorato con Buttiglione e Rutelli e indebolito da alcune piccole correzioni del governo Renzi che hanno tolto pietra a questo edificio di difesa dei beni culturali. Solo tre Regioni hanno elaborato il piano paesaggistico (Toscana, Puglia e, in parte, Piemonte), lo Stato non ha esercitato il potere sostitutivo, anzi le riforme di Franceschini hanno depotenziato le Soprintendenze. Un governo che si definisce del cambiamento dovrebbe dare un segno opposto, il ministro Bonisoli si è dimostrato sensibile all’argomento ma per ora non c’è stato nulla di concreto.
Si aspettava questo atteggiamento ben più che ondivago da parte del M5s al governo nei confronti del tema grandi opere?
Me l’aspettavo da questo governo, essendo un ibrido, un coacervo di due partiti che si sono combattuti in campagna elettorale e che ora insieme nei primi sei mesi hanno prodotto molte meno leggi di tanti altri esecutivi. Non mi aspetto nulla di buono dalla consociazione di entità così diverse: da un lato i Cinque stelle più lontani dai compromessi col passato ma ingenui, dall’altro la Lega al governo con Berlusconi per decenni.
Cosa pensa della levata di scudi pro Tav che protagonista il cosiddetto «partito del Pil», come è stata definita l’assise di imprenditori riunitisi a Torino?
Non conosco queste persone, le loro ragioni possono essere molto diverse. Sono preoccupati di interrompere un processo che coinvolgerebbe tante imprese, ma la vera risposta è dire no a qualcosa e sì a qualcos’altro. Sono stati, infatti, fatti conti su quanto tanto costi allo Stato la mancanza di prevenzione e quanto converrebbe mettere in sicurezza il territorio. Per farlo si potrebbero spendere i soldi per il Tav.
L’articolo 9 della Costituzione dice che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica e tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Come può venire in appoggio alla mobilitazione No Tav?
La Costituzione afferma che la tutela deve essere identica in qualsiasi centimetro dell’Italia. Dovremmo vergognarci di quanto poco è stata attuata e quanto grave sia che i partiti che sono stati al governo non abbiano fatto dell’articolo 9 la propria bandiera.
Quanto è importante la manifestazione dell’8 dicembre a Torino?
Dipende da come si svolgerà e da quanta gente ci sarà, da come i giornali ne parleranno. Mi stupisce, però, che quel poco che resta della sinistra in Italia non sia riuscito a utilizzare i media e i social per costruire una piattaforma in cui i cittadini, per esempio, di Trapani capiscano che le loro battaglie sono simili a quelle di Mestre. Se no le lotte politiche tenderanno a essere sempre locali. Abbiamo bisogno di afflato nazionale.