In prima pagina su Liberazione del 20 agosto 2004 è apparso un articolo sull’imminente Incontro Nazionale, firmato da Rina Gagliardi. Ne riportiamo il testo.
La passata di pomodoro e la radicalità
Ai primi di settembre si terrà, in una piccola località di montagna, un convegno dal titolo piuttosto inconsueto e provocatorio: “Se faccio in casa la passata di pomodoro, faccio un’azione politica? “. Il tema vero, in realtà, è la contestazione del modello attuale di consumi, imposto all’occidente dal neoliberismo, a dispetto della recessione economica galoppante. I promotori sono forze del movimento cattolico di base, che si riconoscono in particolare nei Beati i costruttori di pace. L’obiettivo immediato è quello di risparmiare ma soprattutto di consumare in modo diverso: meno automobile, meno carne, meno acque minerali, più cultura, più libri, cinema, teatro. Un primo bilancio di quest’ultima iniziativa è abbastanza sorprendente anche dal punto di vista economico: questo tipo di consumo critico fa risparmiare chi lo pratica circa il 25% della media nazionale. Se solo di questo si trattasse, sarebbe “soltanto” una delle tante terapie messe in atto in una situazione, come quella odierna, di carovita crescente. Ma forse c’è qualcosa di più.
C’è un’idea, ingenua e “impolitica” quanto volete, di sovvertire davvero – e subito – il più sacro dei meccanismi del dominio capitalistico: l’obbligo di realizzare la nostra modernità, in consumi ben al di là del necessario, sempre meno appaganti e perciò sempre più voraci. C’è dunque, assai più che in nuce, la voglia di vivere in modo diverso in un mondo diverso. Non per caso, gli attori di queste esperienze spiegano che il risultato per loro più importante, alla fin fine, è il recupero di relazioni interpersonali ricche che si erano smarrite nei meandri dei supermarket. In termini marxiani, altro non è che la volontà di sostituire l’esclusività del rapporto di denaro con la centralità del rapporto tra le persone. Un obiettivo modesto, tutto e solo esistenziale? Un orizzonte che non comprende (o perde di vista) la necessità di superare realmente il sistema e i suoi meccanismi produttivi? Un rischio evidente di regressione “antiindustrialista” e precapitalista?
Domande e dubbi legittimi certo. Eppure, a mio parere, abbiamo tutto da imparare da questi tentativi: che per un verso sono nuovi, inscritti come sono nell’esperienza di “anticapitalismo latente” tipica del movimento dei movimenti; e che sono per un altro verso molto antichi legati da un sottile filo sotterraneo agli inizi della storia del movimento operaio.
In mezzo, certo, c’è almeno un secolo e mezzo. Ma c’è anche, come dicevamo sopra, la necessità – tutta attuale – di tornare a dare un senso alla politica. Non basterà a salvarla, no, una salsa fatta in casa. Ma la voglia di radicalità e di alternativa non può forse prendere anche la strada di una passata di pomodoro?
Rina Gagliardi