I cosiddetti paesi emergenti stanno affacciandosi al dorato mondo del consumismo. Il Worldwatch Institute, nella presentazione del suo ultimo rapporto “Lo stato del mondo” lancia l’allarme
Consumi boom, è allarme risorse
India e Cina in corsa con gli Usa
ANTONIO CIANCIULLO ROMA-
«Più ricco, più grasso, e non molto più felice». E’ questo il ritratto del mondo all’inizio del ventunesimo secolo che esce dallo State of the world 2004, il rapporto annuale del Worldwatch Institute che in Italia sarà pubblicato a marzo dalle Edizioni Ambiente. La linea di tendenza che si è affermata con più forza. nel corso del 2003 è stata la crescita di una categoria battezzata la «classe dei consumatori». Si tratta di più di un quarto dell’umanità: 1,7 miliardi di persone approdate allo stile di vita dei paesi ricchi. Mangiano abbastanza da sentire il bisogno di mettersi a dieta, possiedono sufficienti automobili da dover andare in palestra per fare un po’ di moto, consumano tanto petrolio da preoccuparsi dei mutamenti climatici.
La novità è che nella barca dei consumatori, che ha considerevolmente aumentato le sue dimensioni e sta minando l’equilibrio dei grandi ecosistemi, sono entrati nuovi clienti provenienti dai paesi in transizione economica. Ed è interessante la composizione geografica di questo esercito di consumatori planetari: 270 milioni vivono negli Stati Uniti e in Canada, 350 milioni nell’Europa occidentale; 120 milioni in Giappone, quasi il 50 per cento nei paesi chiamati in via di sviluppo (ci sono 240 milioni di cinesi, che nel giro di pochi anni sorpasseranno gli americani, e 120 milioni di indiani).
I nuovi consumatori rappresentano comunque una categoria ampia ma non omogenea. La contrapposizione più evidente è storica: il 12 per cento della popolazione mondiale (quella che vive nell’America del Nord e nell’Europa occidentale) si aggiudica il 60 per cento dei consumi globali, mentre il terzo che vive nell’Asia del Sud e nell’Africa sub sahariana si deve accontentare del 3,2 per cento della torta dei consumi mondiali. Accanto al miliardo e 700 milioni di persone che accedono al mercato ci sono quasi 3 miliardi di persone che vivono con meno di due dollari al giorno.
C’è poi una seconda frontiera che non segna una differenza di censo ma di stile di vita. Da una parte ci sono gli Stati Uniti che con meno del 5 per cento della popolazione globale, consumano il 25 per cento del carbone mondiale, il 26 per cento del petrolio e il 27 per cento del metano. Negli Usa ci sono più automobili che persone con la patente, la grandezza dei frigoriferi è cresciuta del 10 per cento tra il 1972 e il 2001, le case sono il 38 per cento più grandi rispetto a quelle di 25 anni fa e hanno meno abitanti. Il risultato ambientale è disastroso: le emissioni statunitensi di anidride carbonica rappresentano il 25 per cento del totale e continuano a crescere. E quello psicologico non suona confortante: i cittadini americani che si sentono «molto felici» restano uno su tre, come nel 1957 quando il loro reddito era la metà di quello attuale.
Dall’altra parte di questa seconda frontiera del consumo si trovano frammenti sparsi di una possibile alternativa. C’è l’Europa che riequilibria la bilancia dei valori attribuendo una maggiore importanza al tempo libero e alle vacanze (l’europeo medio lavora nove settimane all’anno in meno rispetto allo statunitense medio). E c’è una serie di esperienze pilota che stanno portando alla crescita di prodotti «sani ed ecosostenibili».
L’elenco è lungo. Si va dalle lampadine ad alta efficienza che hanno raggiunto una produzione di 606 milioni di esemplari nel 2001 (13 volte più che nel 1990) agli impianti eolici e solari che sono cresciuti del 30 per cento all’anno negli ultimi cinque anni in paesi come il Giappone, la Germania e la Spagna. Passando per le merci ottenute con materie riciclate (in Europa la carta riciclata costa quanto la carta vergine o meno).
Nel complesso, comunque, il mercato verde vale solo l’ 1 per cento del Pil globale. Potrebbe andare molto meglio, nota il Worldwatch Institute, se alcuni volani di spesa come i 3.700 college e università americani che spendono il 3 per del Pil, o le istituzioni religiose, che hanno un analogo budget, facessero una netta scelta a favore della qualità ambientale, dei consumi.
«Il consumerismo ha vinto la guerra ideologica del ventesimo secolo», ha detto Christopher Flavin, il presidente del Worldwatch Institute, nel corso della conferenza stampa di presentazione dello State of the World 2004, «e l’obbligo di acquistare e consumare ora domina la psiche di molte persone, prendendo il posto occupato dalla religione, dalla famiglia e dalla comunità. Dopo l’ 11 settembre Bush ha avvertito gli americani che comprare era un dovere patriottico».
Ma i problemi che nascono dall’eccesso di consumo (obesità, mancanza di tempo, degrado ambientale) spingono a correggere la rotta. «consumi crescenti hanno aiutato a soddisfare i bisogni essenziali e hanno creato lavoro», aggiunge Flavin, «ma con l’entrata nel nuovo millennio questo appetito senza precedenti dei consumatori sta cominciando a minacciare i sistemi naturali da cui tutti dipendiamo e rende più difficile ai poveri del mondo soddisfare le loro necessità basilari».
schede:
L’acqua minerale guida la corsa II numero delle bottiglie di acqua aumenta del 12 Per cento l’anno, ma in India, dove dal 2003 i produttori sono responsabili dello smaltimento, si arriva a una crescita del 50 percento l’anno. Nel 2002, solo negli Stati Uniti, sono state acquistate 14 miliardi di bottiglie di acqua minerale e il 90 percento dei contenitori in plastica è finito nella spazzatura.
Telefonini record più di un miliardo
Nel 1992 solo l’1 percento della popolazione mondiale aveva un telefono celulare. Dieci anni dopo il 18 per cento della popolazione mondiale aveva un cellulare: si tratta di un miliardo e 140 milioni, più di quelle che usano il telefono convenzionale. Si aggrava il problema dell’impatto in discarica quando vengono gettati.
Una tanica d’acqua, per ogni microchip
II numero dei computer è passato dai 105 milioni del 1988 al mezzo miliardo dei 2002. Per produrre un microchip da 32 megabyte occorrono almeno 72 grammi di sostanze chimiche, 32 litri di acqua, 1,2 chili di combustibili fossili. Nel 2005 Per ogni computer introdotto sul mercato americano uno verrà dichiarato obsoleto e buttato.
La T-shirt di cotone vince in popolarità
Inventata nel 1913 dalla marina americana, diventata capo di abbigliamento civile nel ’38, la t-shirt è il capo di abbigliamento più popolare in tutto il mondo. Ma non necessariamente il più amico dell’ambiente. Ogni anno gli oltre 19 milioni di tonnellate di cotone coltivato per produrle «succhiano» pesticidi per un valore di 2,6 miliardi di dollari.
Spreco di carta primato americano
Sono gli Stati Uniti i maggiori consumatori di carta: ogni anno l’utilizzo pro capite si attesta sui 331 chilogrammi, circa il 30 per cento dei consumi mondiali. Nei paesi industrializzati la carta, utilizzata sostanzialmente per il packaging, rappresenta il 40 per cento dei rifiuti solidi urbani e si ottiene per il 93 per cento tagliando alberi.
Buste di plastica la grande invasione
Dai 4 ai 5 mila miliardi di pezzi: è questo il numero di buste di plastica prodotte nell’ultimo anno nel mondo. E per l’80 per cento utilizzate negli Usa e in Europa. Le bio-buste, degradabili e realizzate senza politilene, rappresentano solo l’1 percento del mercato. Le proposte vanno dalle tasse alla richiesta di costruire buste più durature.