BILANCI DI GIUSTIZIA
LETTERA DI INFORMAZIONE TRA GLI ADERENTI ALLA CAMPAGNA
N° 120 – LUGLIO – AGOSTO 2007
SPUNTI GHANDIANI
per una riflessione sul
LAVORO
Per introdurci al tema del Lavoro che affronteremo all’Incontro Annuale riportiamo un paragrafo dallo scritto “La vera economia. Esperienze e riflessioni gandhiane sul “modello di sviluppo”” del prof. Manara. Il testo completo è scaricabile dal sito.
[…]
Ritorno alla techne. Il khadi, simbolo e via di conversione alla nonviolenza
Il simbolo dell’economia nonviolenta, secondo Gandhi, è sicuramente il charkha, ossia l’arcolaio. Esso rappresenta l’opera delle mani, il lavoro umano, la tecnica come alternativa alla tecnologia. La filatura, la tessitura, e quindi il khadi, ossia l’abito filato e tessuto a mano, rappresentano un sistema ed un progetto complesso ed operante a più livelli. Non comprenderemmo nulla del simbolismo gandhiano se lo guardassimo con gli occhiali dell’occidente, ossia se lo considerassimo solo una questione di “visioni del mondo”, qualcosa di astratto e puramente verbale, tipico della “predicazione” moralistica, o peggio ancora, riducendolo a una questione di “immagine”.
Simbolo ed espressione olistica della conoscenza esperienziale vanno insieme, nella visione e nella prassi gandhiana.
Non è tanto una questione di discorsi, ovviamente, quanto di pratica: dobbiamo essere e vivere all’altezza della nostra “predicazione” .
Al centro della vera economia c’è in ogni caso l’opera delle mani dell’uomo, il lavoro fisico umano:
«La vera economia è quella attraverso la quale ogni uomo ed ogni donna vivono grazie al lavoro fisico»[Three Questions, in «Hindi Navajivan» 22 giugno 1924, CWMG, XXIV, p. 282].
Il charkha ed il khadi sono simbolo della nonviolenza, perché rifondano il fare umano. Esse sono “fonte di forza” perché permettono di esprimere e recuperare energie propriamente umane, liberandone lo “sviluppo” dall’alienazione in cui lo costringe la tecnologia meccanizzata.
In un discorso alla All-India Spinners’ Association (A.I.S.A.) del settembre 1944, Gandhi disse:
In Sudafrica ho scoperto che se l’India vuole sopravvivere e progredire in modo nonviolento, lo può fare solo attraverso il charkha — il charkha solo può essere simbolo di nonviolenza. Potremo attingere forza anche da altri simboli, ma quella forza non potrà mai condurci al benessere del mondo [CWMG LXXIV, p. 63].
La forza che sta dietro qualsiasi mia attività, inclusa la disobbedienza civile, è derivata interamente dal charkha, al quale ho dedicato la maggior parte della mia energia e dei miei fondi [CWMG LXXIV, p. 64].
E aggiunse:
Diciamo di essere devoti alla nonviolenza. Se è così, dobbiamo svelare nelle nostre vite la forza della nonviolenza. E finché non ne sveliamo la forza nelle nostre stesse vite, non saremo veri gandhiani [Ivi, p. 65].
Insisteva sulla necessità di riconoscere il “fallimento” nell’aver reso la nonviolenza “parte del nostro essere”.
Tutti noi dovremmo essere convinti che il charkha è il simbolo dell’autosufficienza economica e nonviolenta [ Ivi., p. 66].
In un’intervista al missionario americano Holmes Smith, Gandhi afferma:
Non voglio che vi accingiate a filare finché non vedete la inscindibile connessione tra la filatura o il suo equivalente e la nonviolenza. È probabile che possiate scoprire nuovi metodi di applicazione o nuovi argomenti, come fa Gregg, in supporto ai miei [ CWMG LXXI, p. 169. Come si vede, in questo frammento Gandhi apprezza e riconosce anche la “costruzione” di un’elaborazione “sistematica” compiuta da alcuni suoi seguaci, a partire da quanto da lui avviato, in questo caso dal già menzionato Gregg, ed incoraggia anche a trovare, appunto, “nuovi argomenti” a sostegno della scelta del khadi.].
E quando l’interlocutore gli ribatte: «Con il charkha intende la nonviolenza economica?», risponde:
Non la nonviolenza economica, ma dovrei dire l’economia nonviolenta. Il charkha e l’opera delle mani occupano un posto speciale in una società nonviolenta, come le attività centralizzate fanno in una società costruita sul militarismo [ CWMG LXXI, p. 169].
È chiara la consapevolezza della stretta connessione tra sistema economico organizzato e violenza, anche militare, di cui oggi possediamo ancora più evidenze. E di quella tra tecnica umanizzata e società nonviolenta.
Per rendere la nonviolenza “parte del proprio stesso essere”, secondo Gandhi è necessario cominciare dalle proprie abitudini di vita, dagli stili di vita. La forza che nasce in noi se ci prendiamo cura del nostro stile di vita con l’intento di ridurne la distruttività ci permetterà anche risorse per l’azione nonviolenta nei conflitti sociali e politici. L’economia nonviolenta si realizza anche con questa trasformazione personale, e non semplicemente con riforme di governo o per vie istituzionali.
Gandhi è consapevole anche in termini strettamente economicistici dei “due buoni effetti” che il khadi può generare sulla società indiana: oltre ad evitare che si appesantisca la bilancia dei pagamenti con l’estero, esso permette di ridistribuire quel valore nelle case di tutti coloro che lavorano filando e tessendo [ New Pledge, in Navajivan, 7 agosto 1921, CWMG, XX, p. 471].
Ma aggiunge:
Voglio esprimervi apertamente oggi che il messaggio del filatoio e del khadi è eminentemente un messaggio spirituale, ed è eminentemente un messaggio spirituale per questa terra, per il fatto che ha avuto tremende conseguenze sia economiche che politiche [ Speech at Y.M.C.A. Madras, cit.p. 451].
Premessa della scelta di filare e tessere cotone indiano in casa c’era ovviamente la decisione di non cooperare con il mercato britannico: prima di filare e tessere c’era anche il rogo dei propri abiti di fabbricazione britannica . Credo che tutto questo sia illuminante, oggi. Per orientarci verso una economia nonviolenta ci è richiesto di dissentire dall’economia dei consumi e del mercato, di trovare azioni ed opere disobbedienti verso il sistema. E di combatterlo a partire dai simboli: è noto che durante la campagna per il khadi venne dichiarata la “intoccabilità” dei tessuti britannici [ Speech at Public Meeting Bombay, 1 agosto 1921, cit., p. 458]. Per far comprendere autenticamente il senso di questo simbolo, e la sua portata simbolica oltre l’immagine e la metafora, faccio ricorso una storiella narrata da Raimon Panikkar [ V. Il sorriso del saggio, intervista a Raimon Panikkar a cura di Werner Weick e Andrea Andriotto, TSI, 2000. Circa questo confronto tra tecnica tradizionale e tecnologia contemporanea, di cui Gandhi sembra proprio consapevole, Panikkar stesso ha riflettuto e studiato molto, si v. almeno La nuova innocenza, I, Bergamo, … p. 135-36; v. anche R. Panikkar, Ecosofia, Assisi, Cittadella, 1993, p. 147-149.]. Un suo amico, uno spagnolo, si era trasferito a Città del Messico per viverci, e doveva arredare la sua casa. Nello Zócalo, il cuore di quella città sin dai tempi degli Aztechi, incontrò un artigiano che stava dipingendo una sedia con i colori vivissimi tipici dell’artigianato di quel paese. Chiese quindi all’artigiano il costo di quella sedia, e gli venne risposto che era di 10 pesos. Lo spagnolo disse che avrebbe voluto sei sedie uguali a quella che stava vedendo, offrendo la somma di 50 pesos. Allo sguardo perplesso e stupito dell’artigiano, chiese quanto egli avrebbe chiesto per sei sedie uguali a quella cui stava lavorando. L’artigiano risposte che avrebbe richiesto 75 pesos. Lo spagnolo provò a contrattare, giungendo anche ad offrire 60 pesos per le sei sedie, ma senza ottenere il minimo risultato. L’artigiano messicano non scendeva al di sotto della sua richiesta. Lo spagnolo rinunciò alla contrattazione e se ne andò: ma, tormentato dall’insuccesso e volendo comprendere meglio, tornò dall’artigiano e gli chiese di spiegargli perché invece di 60 pesos per sei sedie ne chiedeva addirittura 75. L’artigiano rispose: «Lei mi ha detto di volere sei sedie tutte uguali, vero?» «Proprio così», rispose lo spagnolo. E l’artigiano ribatté: «E chi mi paga per la noia di farle tutte uguali?».
La tecnica è mossa dallo spirito, commenta Panikkar, e cerca l’optimum. La tecnologia sostituisce lo spirito con la “ragione”, il puro calcolo aritmetico, e si limita al maximus.
E razionalizzando la tecnica, sostituendo il “logos” allo “spirito”, si finisce per dimenticare ciò che mantiene umano il lavoro delle mani dell’uomo, ossia l’ispirazione e la creatività. Siamo così abituati alle ragioni della tecnologia che trattiamo anche l’uomo come una macchina: e la cosa non può che infastidire ed annoiare un vero artigiano.
Gandhi era pienamente consapevole di questo. Ecco cosa intende quindi quando insiste sulla possibilità che abbiamo nel trovare nel lavoro manuale una via per attingere alle nostre forze più profonde ed autentiche. Queste forze sono di natura spirituale, evidentemente, ma non si attinge ad esse fuggendo dal corpo e dall’opera delle mani, quanto piuttosto cercando la più profonda armonia di cui possiamo essere espressione.
Il khadi ha una missione sua particolare. È parte della educazione nazionale e richiede una nuova e vera economia, almeno per l’India. Cosa intendo dire quando dico che l’unica proposta di vera economia è il khadi? Lasciatemi porre la questione in tutta la sua ampiezza. Il Khadi è l’unica proposta di vera economia per i milioni di abitanti dei villaggi, finché non verrà un tempo, se mai verrà, in cui avremo trovato un sistema più adeguato per fornire lavoro e salario adeguati ad ogni persona abile di più di sedici anni, maschio o femmina, per il suo campo, la sua abitazione o anche la sua fabbrica in ciascuno dei villaggi dell’India; o finché siano costruite città sufficienti per alloggiare gli abitanti dei villaggi con il necessario comfort e le necessarie amenità richieste da una vita ben regolata [ Is Khadi Economically Sound?, in «Harijan» 20 giugno 1936, CWEMG, LXIII, pp.77-78].
Attraverso il khadi passa il cuore stesso del progetto “pedagogico-sociale” di Gandhi, e il suo pensiero economico non è disgiunto da esso, ossia da questo interesse educativo. È la chiave dell’educazione alla nonviolenza, sia come compito di “educazione nazionale”, estesa all’intero corpo sociale ed a tutti gli ambiti della vita comunitaria, sia in quanto rivolta alle persone nell’età dello sviluppo [ Una testimonianza su queste esperienze di educazione e formazione si trova in Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle sorgenti, Milano, Jaca Book, 1986, in part. alle pp. 126 ss., ove Lanza del Vasto racconta la sua esperienza della Scuola di Wardha, del suo apprendimento della filatura e del laboratorio di falegnameria al quale Gandhi stesso l’aveva invitato a prender parte. ].
Un paio di consigli gandhiani
Cosa può significare charkha o khadi per noi oggi?
Quali potranno essere le “opere” delle nostre mani attraverso le quali avviare la nostra liberazione dal sistema economico distruttivo?
Di fronte a questi semplici interrogativi, che richiedono però risposte nuove e inedite, e sicuramente ben altrimenti meditate, mi pare significativo riportare un confronto tra un giovane, impiegato nel settore ingegneristico di un’azienda, e Gandhi. Il giovane scrisse a Gandhi, raccontandogli che era stanco del suo lavoro, a causa delle ingiustizie di cui faceva esperienza nella propria stessa fabbrica, nonché dell’amaro egoismo e della durezza di cuore dei proprietari, ma che esitava ad abbandonarlo, in quanto una dozzina di persone dipendevano da lui per il proprio sostentamento. E concludeva sostenendo di ritenere ormai il suo servizio in quel contesto anche peggiore del servizio al Governo britannico, e chiedendo consiglio a Gandhi. Questi rispose sulle colonne di «Young India», come segue:
Come dice un vecchio adagio inglese, non puoi mangiare la tua torta ed averla contemporaneamente. Similmente, non puoi lasciare il tuo lavoro in una fabbrica e tuttavia conservare il tuo stipendio di un centinaio di rupie al mese. Un’attenta considerazione di tutte le professioni altamente remunerative in India ci rivela il fatto che tutte sono essenzialmente prodotti del dominio britannico in India, e sono in qualche modo connesse al mantenimento di questo dominio. Un paese in cui il reddito medio pro capite giornaliero è di sette pice [Dall’hindi e urdu paisa, unità monetaria indiana, corrispondente a ¼ di anna e a 1/100 di rupia] non può offrire salari elevati, per la semplice ragione che ciò comporterebbe aggiungere un enorme peso aggiuntivo sui milioni di lavoratori del paese che sono già quasi oppressi dalla loro povertà. Ne segue quindi che l’unico indirizzo che una persona può prendere, se vuole uscire dal sistema dello sfruttamento rappresentato dalle fabbriche, sarebbe di ridurre drasticamente il suo bilancio famigliare. Questo può essere ottenuto in due modi: mediante una radicale semplificazione della propria stessa vita, e mediante la riduzione del numero di persone cui si deve fornire sostentamento. Ogni membro della famiglia cresciuto ed abile dovrebbe essere invitato a contribuire per la sua quota al mantenimento della famiglia stessa, con una onesta attività. Ci sono tanti lavori che possono essere facilmente imparati e svolti in casa, senza investimento di un grande capitale. Se non si è preparati ad affrontare nessuna di queste due vie, si farà meglio tenersi stretto l’impiego in cui si è coinvolti, e dedicarsi a un qualsiasi servizio possibile. Se si è impiegati in una fabbrica, si potrebbe provare a sviluppare uno studio attento e simpatetico delle durezze e delle miserie che sono il peso di un lavoratore di fabbrica, e di fare il possibile in quel contesto per alleviarle. Si potrebbe coltivare una esemplare purezza, onestà e dirittura di comportamento, coinvolgendo i compagni di lavoro in questi ideali. Se i dipendenti subordinati si comportano tutti rettamente, essi in questo modo creeranno una atmosfera pura che è destinata a comunicarsi ai loro padroni alla fine, permettendo di ottenere giustizia da loro per i lavoratori della fabbrica. Ogni azione in questo mondo ha qualche svantaggio ad essa connessa. È dovere e privilegio dell’uomo ridurre tale svantaggio, e, mentre si vive nel bel mezzo di tutto questo, rimanere liberi da esso per quanto possibile al fine di ottenere, appunto, tale riduzione. Per fare un esempio estremo, non ci potrebbe forse essere più grande contraddizione di termini che quella di un macellaio compassionevole. E tuttavia è possibile persino per un macellaio se in lui alberga un po’ di pietà. In effetti, ho conosciuto macellai che esprimevano una gentilezza che era difficile aspettarsi da loro. Il rinomato episodio di Kaushik il macellaio nel Mahabharata lo testimonia. È un episodio per ogni giovane posto in una situazione simile a quella di questo corrispondente, su cui riflettere ponderatamente per assimilarlo [ A Poser, in «Young India» 1 agosto 1929, CWMG, XL, pp. 400-401].
Da questa corrispondenza gandhiana possiamo ricavare ancor oggi notevoli riflessioni.
Diciamo almeno che divenire sensibili alle contraddizioni del sistema in cui siamo immersi è già una autentica via per cominciare ad uscirne, sapendo almeno guardare il mondo in modo nuovo ed orientando le nostre azioni secondo paradigmi e modelli alternativi a quello dominante. Ma questo comporta anche il grave rischio e la responsabilità di decidere per il cambiamento, operando scelte economiche costose a partire dal proprio piccolo mondo. E queste scelte, anche oggi, sono le stesse indicate da Gandhi a quel giovane.
Non c’è solo la dimensione sociale e politica della questione economica: c’è, inscindibilmente, anche la dimensione personale ed interpersonale in gioco, quella che riguarda la vita personale, familiare e della piccola comunità.
Gandhi era consapevole che dal punto di vista di molte persone che vivono all’interno del sistema economico moderno il “vincolo” di sottomissione del sistema economico-sociale appare spesso come un tributo indiscutibile, cui dobbiamo obbedienza, cui disobbedire è assai difficile, se non impossibile. Egli richiama però l’attenzione al fatto che tale sottomissione, con le sue gratificazioni quantitativamente elevate, non è altro che l’espressione di una forma di dominio e di oppressione, e di relativo sfruttamento — quindi di disumanizzazione.
Sono anche interessanti i rinvii che Gandhi suggerisce alla “discussione” del bilancio famigliare. Egli mostra che al criterio puramente quantitativo possono affiancarsi, se non per sostituirlo almeno per trasformarlo, anche criteri d’altra natura. Certo, si deve comprendere, entro la prospettiva della filosofia del limite di cui Gandhi sembra esponente, che si propone senza mezzi termini una “riduzione” del bilancio stesso, per trasformare la qualità della propria vita. Egli è chiaramente consapevole che la quantità elevata del bilancio famigliare non rappresenta un bene in sé, ed è frutto di una sottomissione al sistema economico moderno e britannico. D’altra parte pensare il limite, la decrescita, la semplificazione non sono forse oggi direzioni di senso di cui ricomprendiamo le ragioni? La semplificazione della propria vita non è una proposta estrinseca e tanto meno è distruttiva: al contrario, è una possibilità di vita migliore.
E torna, come si vede, l’idea del lavoro per tutti e da parte di tutti.
Inoltre, Gandhi accenna anche alla possibilità di “operare per la trasformazione dall’interno del sistema”, anche se è chiaro che non è la prospettiva cui lui sembra dar maggior valore. Egli però mostra di comprendere, come si vede quando accenna all’esempio del macellaio compassionevole, che questa prospettiva è quella che chiede a volte di accettare imparare ad abitare la contraddizione, per poterla, forse, un tempo, trasformare ancor più radicalmente.
Su questa strada della trasformazione micro-economica e micro-sociale, che non dimentica il suo momento “politico”, mi sembra esistano vari esempi anche nel nostro paese [ Cito almeno le esperienze di cui sono diretto testimone, come l’operazione “Bilanci di Giustizia”, o l’esperimento di mille famiglie veneziane, nel 2005, su cui v. Cambieresti? La sfida di mille famiglie alla società dei consumi, Milano, Altreconomia, 2006; o, infine, ma con un peso ed una consapevolezza diversi, anche le esperienze dei “GAS” (Gruppi di Acquisto Solidale)].
Potremmo infine elaborare per noi stessi una domanda gandhiana, in quest’età di “globalizzazione”, traslando una sua osservazione di questo testo ad un livello planetario. Quante volte compariamo il nostro reddito medio annuale con il reddito medio pro capite mondiale [Che agli inizi di questo millennio ammontava, secondo le stime della Banca Mondiale, a poco più di 5.100,00 dollari. Si tenga presente ovviamente che il reddito medio pro capite mondiale NON rappresenta un indicatore appropriato di sviluppo, anzi.]? Quante volte pensiamo che ci situiamo già nella fascia dei “salari elevati”, e che ciò sta di fatto contribuendo ad aggiungere “un enorme peso su milioni di lavoratori” del pianeta che sono già oppressi dalla loro miseria? È molto noto, a proposito, un famoso “talismano” che Gandhi lasciò in eredità in un appunto scritto ai suoi discepoli nell’Agosto del 1947. Con questo talismano egli ci provoca ad un confronto estremo, con l’ultimo dei miseri:
Ti darò un talismano. Ogni volta che sei nel dubbio, o quando il tuo Io diventa troppo forte con te, fai questa prova: richiama il volto dell’uomo più povero e più debole che puoi aver visto, e chiediti se la decisione che stai prendendo sarà di qualche utilità per lui. Guadagnerà qualcosa grazie ad essa? Lo metterà in grado di riprendere un qualche controllo sulla sua vita e sul suo destino? In altri termini, condurrà allo swaraj milioni di persone affamate e degradate nello spirito?
Allora vedrai che tanto i tuoi dubbi quanto il tuo Io svaniranno. [ A Note, in CWMG, LXXXIX, p. 125]
Termino queste brevi note quindi con un semplice auspicio.
C’è davvero molto ancora da scoprire nell’opera gandhiana, per trarne ispirazione nel nostro cammino di conversione ad una “economia nonviolenta”.
Speriamo che molti si incuriosiscano a questa ricerca, ma soprattutto che si lascino attrarre dall’impegno a pensare ed operare in uno stile di vita attento alla riduzione della distruttività, ed al rispetto per ogni forma di vita e per ogni essere, in ogni momento dell’esistenza, in una dimensione autenticamente comunitaria e perciò politica. Questa conversione, infatti, non può che essere insieme personale, comunitaria, sociale e politica.
Non dobbiamo sentirci impari a questo compito: è anche questo l’insegnamento gandhiano. Dopotutto, come ci suggerisce Majid Rahnema, non dobbiamo dimenticare «che l’Era economica [ Direi, meglio, l’Era dell’economicismo], come tutte quelle che l’hanno preceduta, non è eterna» [ Majid Rahnema, op. cit., p. 61].
INCONTRO NAZIONALE BILANCI DI GIUSTIZIA
LAVORO: CHE PASSIONE!
dal consumo critico al lavoro critico
30 Agosto – 2 Settembre 2007 – Rocca di Papa, Roma
PROGRAMMA
Giovedì 30 agosto
ore 14.00 Arrivi
ore 17.00 Scambio di esperienze fra i gruppi locali; gruppo di informazione per chi incontra per la prima volta i Bilanci
ore 19.30 Cena
ore 21.00 Presentazione gruppi locali e singoli: “Incontrarsi di nuovo per conoscersi meglio”.
Venerdì 31 agosto
ore 7.30 Momento d’inizio
ore 8.00 Colazione
ore 9.15 Plenaria: il senso dell’incontro
ore 9.30 Testimonianze per lanciare gli spunti dei lavori di gruppo
ore 10.30 Lavori di gruppo: prima sessione
ore 12.30 Pranzo
ore 15.00 Laboratori
ore 19.30 Cena
ore 21.00 FESTA condotta dal Gruppo di Firenze
Sabato 1 settembre
ore7.30 Momento d’inizio
ore 8.00 Colazione
ore 9.30 Lavori di gruppo: seconda sessione
ore 10.30 Pausa
ore 11.00 Lavori di gruppo: terza sessione
ore 12.30 Pranzo
ore 15.00 Laboratori
ore 19.30 Cena
ore 21.00 Spettacolo con la Stradabanda
Domenica 2 settembre
ore 7.30 Momento d’inizio
ore 8.00 Colazione
ore 9.30 Plenaria: Tavola rotonda con politici nazionali e locali, per un confronto sul tema del lavoro a partire dalle suggestioni dei lavori di gruppo. Interverranno:
Rosy Bindi, Ministro delle Politiche per la Famiglia
Alcuni politici e rappresentanti della società civile locale
ore 13.00 Pranzo
E’ DA ANNI CHE DICIAMO CHE BISOGNA FARE UN BELL’INCONTRO
DEI BILANCI IN CENTRO ITALIA…
….E TU COSA ASPETTI AD ISCRIVERTI??!!!???
TI ASPETTIAMO AL PIU’ PRESTO
INCONTRO ANNUALE
Informazioni
Ricordiamo a tutti quelli che suonano uno strumento di portarlo, cercheremo anche di raccogliere alcune canzoni da cantare assieme (fate arrivare in Segreteria i testi delle canzoni che volete condividere con gli altri entro il 30 luglio).
Indicazioni per raggiungere il Centro Mondo Migliore:
In automobile – prendere l’uscita 23 del Grande Raccordo Anulare (via Appia Nuova) in direzione Albano, dopo il secondo sottovia girare a destra in direzione Marino Via dei laghi, seguire la via dei Laghi (per Km 10). Lungo la via dei Laghi troverete due semafori al secondo semaforo salire dritto in direzione Rocca di Papa – Velletri dopo circa 3 km alla vostra sinistra troverete il Centro Mondo Migliore.
Per chi volesse venire con i mezzi pubblici la stazione ferroviaria più vicina al centro è quella Ciampino, da lì la Segreteria potrà organizzare dei passaggi auto. Chi volesse utilizzare questa possibilità lo comunichi in Segreteria entro il 27 agosto 2007
Bilacanza
Chi volesse fare qualche giorno aggiuntivo di vacanza prima o dopo l’incontro deve contattare direttamente il Centro per i giorni non compresi nell’incontro annuale. (mondomigliore@mondomigliore.it , tel. 06/94187).
Precisazione sulle camere
La camera doppia è una camera a due letti, la multipla è una camera a 4 letti, quindi tipicamente una camera da “famiglie” da 3 in su.
All’Incontro Annuale potremo vedere la
mostra fotografica sul
BILATREKKING
LABORATORI
INCONTRO ANNAULE
Vi annunciamo che abbiamo tre laboratori già sicuri per i pomeriggi di venerdì e sabato:
- Informatica sostenibile una risposta a tutti i vostri dubbi per addentrarsi nel mondo del software libero (Marcolinux)
- Spiritualità nel quotidiano (don Gianni)
- Rose di Carta, massimo 7 partecipanti (Sabrina)
E TU che sai fare altre cose interessanti
COSA aspetti per mettere a disposizione
la tua esperienza?
INVENTATI un laboratorio e comunicalo alla Segreteria
STIAMO LAVORANDO PER VOI!!!
Nel mese di Giugno abbiamo:
- Preparato la Lettera Mensile di Maggio
- Risposto alle mail di richiesta informazioni arrivate in Segreteria
- Realizzato l’Incontro Promotori del 16 giugno
- Partecipato all’Incontro Facilitatori del 16 giugno
- Preparato l’Incontro Annuale in collaborazione con il gruppo di Roma
- Conferenza Stampa di presentazione dell’Incontro Annuale a Roma presso la Regione Lazio
- Riunione di verifica a Campobasso, nell’ambito del progetto “Nuovi stili di vita”
Nove facilitatori hanno lavorato il 16 giugno per prepararsi a condurre i lavori di gruppo all’Incontro Annuale.
Assieme agli altri undici che accetteranno di fare questo servizio si troveranno Giovedì 30 agosto 2007 a Rocca di Papa alle ore 15 per concordare il percorso da seguire nelle tre sessioni dei gruppi previste.
Perché non pensi di mettere la tua esperienza a servizio di questo momento collettivo?
Se sei disponibile comunicalo alla Segreteria.